Oratorio della Grotta
Nella Cattedrale romanico-gotica, è documentata la cripta che custodiva le reliquie di S. Crescentino martire dopo la traslazione ad Urbino nel 1068 dalla vicina Città di Castello, ad opera del Beato Mainardo Vescovo. Nel rifacimento della chiesa rinasci- mentale, nei locali corrispondenti alla zona sottostante l’abside, vennero ricavati tre ambienti destinati ad usi profani. Nel 1501 su concessione di Guidobaldo I Montefeltro duca di Urbino, vi si insediò la Confraternita del Crocifisso e, nel primo ven- tennio del XVI secolo, le stanze furono trasformate nelle Cappelle della Nascita, Morte e Sepoltura di Cristo, costruendo un itinerario liturgico che immaginava di ripercorrere i luoghi del pellegrinaggio in Terrasanta.
Dal secolo successivo, le grotte acquisirono un altro ambiente che su progetto dell’architetto urbinate Muzio Oddi, divenne cappella dedicata alla Resurrezione e conclusione del percorso devozionale di cui le opere d’arte custodite sono ancora oggi viva testimonianza. Il terremoto del 1789 determinò la caduta della cupola della Cattedrale e il crollo del soffitto della sottostante cappella centrale. L’attuale assetto si deve all’architetto incaricato della ristrutturazione del Duomo, Giuseppe Valadier, che concepì il rifacimento in stile neoclassico, con colonnati perimetrali in ordine dorico e soffitto a volta, scandito da riquadri in stucco con gli Evangelisti e gli emblemi della passione. Intorno al 1597, l’ultimo duca di Urbino Francesco II Maria della Rovere scelse questo luogo come suo mausoleo e commissionò il gruppo scultoreo che avrebbe dovuto ornare il sepolcro; essendo la sua morte preceduta da quella del figlio Federico Ubaldo, la Pietà in marmo e pietra fu utilizzata per la tomba di quest’ultimo; la scultura è opera dell’artista fiorentino Giovanni Bandini (1540-1599).
L’Oratorio della Grotta, suddiviso nelle quattro cappelle che non presentano più l’ordine liturgico originario, è parte integrante del Museo Diocesano Albani, ospitando una parte della collezione. Il percorso espositivo nel rispetto del luogo di culto e di pietà, si propone come sede di mostre temporanee, con un’attenzione anche all’arte contemporanea. L’itinerario liturgico si conclude con il monte del Calvario all’interno del quale era originariamente posizionato il gruppo scultoreo attualmente collocato davanti al Golgota stesso, che racconta il Compianto sul Cristo morto. Realizzata da una bottega emiliano-romagnola nel II/III decennio del XVI secolo, l’opera esprime la personale partecipazione del fedele all’ “esperienza del sepolcro” e si inserisce nella secolare tradizione delle sacre rappresentazioni che scan- divano la vita liturgica delle comunità cristiane fin dal Medioevo.
Cappella della Natività
La prima cappella è dedicata alla Natività; sull’altare marmoreo a colonne corinzie vi è “L’adorazione dei pastori” dipinta nel 1682 dal bolognese Emilio Taruffi. Nel soffitto vi è una “Gloria di Angeli” opera dell’urbinate Domenico Giannotti eseguita intorno al 1712-1713.
L'OPERA: Emilio Taruffi ADORAZIONE DEI PASTORI 1682 - olio su tela
L’opera viene eseguita nel 1682 da Emilio Taruffi, bolognese, allievo di Francesco Albani, che si ispira a modelli iconografici riferibili all’ambiente artistico del centro Italia. Le figure sono disposte all’interno di uno spazio architettonico fondendosi con esso; la Vergine è il punto centrale del dipinto e regge il bambino nudo, adorato dai pastori e dagli angeli; il pastore inginocchiato offre il suo dono: un agnello; san Giuseppe è avvolto nel suo verde mantello, a braccia aperte e con gli occhi rivolti a Dio in estasi; sullo sfondo il bue e l’asinello; due leggiadri angeli discendono dal cielo. Questa iconografia è particolarmente diffusa nell’epoca della Controriforma, in cui si sviluppa una notevole produzione artistica di immagini sacre, mirate a coinvolgere i fedeli alla devozione. Nella fascia sottostante al quadro un iscrizione riporta il nome del committente, il nobile Vincenzo Marsili e del pittore: MARSILII DONIS PICTORIS AB ARTE TARUFFI / VIRTUTIS SPECULUM CIVIS ET HOSPES HABENT.
testo di Manuela Braconi, da Oratorio della Grotta della Cattedrale, a cura di Mons. Davide Tonti e Sara Bartolucci, Macerata Feltria 2016
(sponsor pubblicazione Rotary Club di Urbino)
Cappella del Crocifisso
La seconda cappella è dedicata al Crocifisso, da cui prende nome la confraternita. Danneggiata gravemente dal crollo della cupola nel 1789, fu rinnovata nell’attuale elegante disegno dall’architetto Giuseppe Valadier (1794), mentre all’urbinate Francesco Antonio Rondelli si devono gli stucchi della volta.
È qui sepolto Federico Ubaldo, figlio di Francesco Maria II della Rovere, ultimo duca di Urbino, morto prematuramente a soli 18 anni nel 1623.
L'OPERA: Francesco Antonio Rondelli I SIMBOLI DELLA PASSIONE: L’ARMA CHRISTI 1795-1797 – stucco
In seguito alla caduta della cupola della Cattedrale avvenuta nel 1789, si determinò lo fondamento del pavimento, che rovinò sulla cappella centrale dell’Oratorio della Grotta. La ristrutturazione fu affidata allo stesso architetto che aveva progettato il Duomo, Giuseppe Valadier e i lavori si protrassero fino al 1801, anno di inaugurazione della Cattedrale. La decorazione plastica comprende la conca absidale, in cui è presente il tetramorfo (ovvero i quattro animali che simboleggiano gli evangelisti) e la volta, con l’Arma Christi (ovvero gli strumenti della Passione di Cristo), è opera del plasticatore urbinate Francesco Antonio Rondelli, come testimoniano i pagamenti del 1797 e dell’anno successivo. In Europa, l’Arma Christi nasce dalla pratica devozionale di contemplare l’ “uomo dei dolori”, il Cristo, sul quale sono ricadute tutte le colpe dell’umanità. È questa una pratica di condivisione della Passio Christi e di espiazione dei propri peccati a cui il fedele si accinge, percorrendo un pellegrinaggio spirituale, attraverso la contemplazione degli oggetti della via della croce. La visione del Cristo sofferente, attraverso l’Arma Christi, porta il fedele a vivere nel suo cuore e nella sua mente, le ferite e i sentimenti di Gesù, a far proprie le offese, condividendone il dolore innocente: ogni uomo, attraverso i propri peccati, è colpevole della pena che Gesù ha sofferto, fino alla morte sul Calvario.
testo di Davide Tonti, da Oratorio della Grotta della Cattedrale, a cura di Mons. Davide Tonti e Sara Bartolucci, Macerata Feltria 2016
(sponsor pubblicazione Rotary Club di Urbino)
Cappella della Pietà
La terza cappella era dedicata alla Resurrezione e prima ancora alla Deposizione. Nel 1712 le due ultime Cappelle cambiarono ruolo e nome. Oggi in questa, architettonicamente simile alla prima, figura sull’altare una “Annunciazione di Maria” dell’urbinate Gianandrea Urbani (1626), sul soffitto “Il trionfo della Croce” di Domenico Giannotti e sulla parete di destra, entro una nicchia di pietra lavagna è collocato un gruppo marmoreo composto dal Cristo morto supino e dalla madre in piedi desolata: l’uno in marmo e l’altra in pietra. Veniva attribuito a Giambologna, ma documenti irrefragabili l’assegnano al fiorentino Giovanni Bandini (1540-1599), detto “dell’Opera”, cioè del Duomo di Firenze da cui passò al servizio del duca Francesco Maria II della Rovere in Urbino. Il monumento, collocato sulla sinistra della Cappella del Crocifisso, era stato creato per il sepolcro dello stesso duca, ma servì per il figlio. Fu spostato in questa Cappella nel 1794 durante i lavori diretti dal Valadier.
Una copia anastatica della grande Bibbia di Federico da Montefeltro Duca di Urbino, è qui esposta. Quella autentica, commissionata per la biblioteca ducale, lasciò la città nel 1657, quando il codice manoscritto e riccamente miniato giunse a Roma, dove è tutt'ora conservato, nella collezione della Biblioteca Apostolica Vaticana.
L'OPERA: Giovanni Bandini detto dell’Opera (Castello, FI - 1540-Firenze1599) PIETÀ 1597, marmo cm 185x210
La mirabile Pietà, autentica “icona” dell’Oratorio della Grotta, ma anche una delle immagini simbolo di Urbino, desta da sempre, proprio per le sue qualità artistiche, l’interesse degli studiosi. I due elementi problematici su cui si è principalmente dibattuto, l’autore e la sua originaria collocazione, sono ormai in maniera definitiva attestati con l’attribuzione a Giovanni Bandini detto dell’Opera e con il ritenere l’Oratorio la primitiva sede. Francesco Maria II della Rovere, ultimo Duca di Urbino, l’aveva fatto eseguire per il proprio sepolcro, ma è servito invece per il figlio Federico Ubaldo prematuramente morto a soli diciotto anni, nel 1623: lo confermano sia un’iscrizione un tempo nella parete di fronte alla Pietà, sia una lapide ancora in loco, che ricorda il duca, confratello e benemerito della Compagnia della Grotta, quel sepolcro «[..] ad ornatum requietorii sui erigendum curaverat […]». L’imponente scultura fu posta gli inizi del Seicento nella cappella del Crocifisso, collocata a sinistra dell’ingresso; incredibilmente illesa dopo la rovina della cupola del Duomo nel 1789, viene trasferita, nel 1796, nella cappella attigua, denominata per questo “della Pietà”. La candida salma del Cristo in primo piano sul sudario, la testa cadente inanimata, la chioma sciolta sparsa sul terreno tra le spine, hanno connotati di forte suggestione, quasi verista; sul retro si erge in piedi l’imponente figura della Madonna i cui tratti la descrivono in età avanzata, mentre stringe le mani e profondamente addolorata posa lo sguardo sul figlio. È evidente che la forza del dolore ha trapassato l’anima di Maria e così, non senza ragione, la possiamo chiamare più che martire, perché la partecipazione alla Passione del Cristo superò di molto, nell’intensità, le sofferenze fisiche del martirio: non esiste contatto fisico, ma solo la profondità dello sguardo della madre rivolto al figlio rafforza l’intimo legame.
da Anna Fucili, in Oratorio della Grotta della Cattedrale, a cura di Mons. Davide Tonti e Sara Bartolucci, Macerata Feltria 2016 - (sponsor pubblicazione Rotary Club di Urbino)
Cappella del Calvario
La quarta Cappella, già della Risurrezione, oggi è del Sepolcro. Comprata la stanza nel 1611, fu ridotta a dignità di Cappella dall’Architetto Matteo Oddi, abbellita anche da una tela di Simone Cantarini raffigurante la Risurrezione di Cristo, 1644-1648 (ora al Museum if Fine Arts di Boston) e una tavola in bronzo di Francesco Maria Bandini, oggi non più esistente. “Il Calvario” (in pietra porosa di natura lavica) nella parete cava riproduce il Sepolcro di Cristo. Le dieci statue in terracotta, recentemente restaurate e risalenti al terzo decennio del XVI secolo, rappresentano il “Compianto del Cristo Morto”.
L'OPERA: Bottega emiliano-romagnola COMPIANTO secondo-terzo decennio sec. XVI, sculture in terracotta policroma
Il gruppo scultoreo è oggi recuperato dal restauro che ha cancellato le manomissioni dell’uomo e del tempo che incrostavano la terracotta, fino a rendere illeggibile la straordinaria qualità esecutiva dell’opera, per secoli misconosciuta. Realizzato fra il II e il III decennio del Cinquecento, già nel 1571, si denunciava il precario stato di conservazione delle statue e tra il 1611 e il 1712 sono testimoniati cinque successivi interventi di restauro che hanno implicato altrettante ridipinture. Le ragioni di una storia conservativa talmente complessa sono da imputare, da un lato alla tecnica esecutiva praticata nella bottega da cui uscì l’opera, dall’altra alla forte presenza di umidità che caratterizza il luogo in cui il gruppo è collocato. L’attuale sistemazione non rispecchia l’assetto originario che prevedeva l’inserimento del gruppo all’interno del Calvario, che, dopo una prima collocazione, venne posto nell’attuale cappella agli inizi del XVIII secolo. Le statue sono il fulcro nella teatralizzazione del dramma sacro, che si inscena a conclusione del percorso liturgico, ancora oggi radicato nella tradizione urbinate per la devozione del lunedì di Pasqua. Al fedele viene affidato un ruolo centrale nella sacra rappresentazione, poiché è chiamato egli stesso a piangere la morte di Cristo, a compatire i dolenti, per trasferire il proprio destino di morte nella resurrezione del Verbo incarnato. Lo scultore e la sua bottega si concentrano sul momento dinamico che segue tragicamente la deposizione dalla croce e la preparazione del corpo al seppellimento. Dall’analisi iconografica, emerge una scelta tipologica che propone una variante del Compianto, inserendo, nella stasi disperata dei protagonisti intorno al corpo morto del Cristo, il sollevamento dalla pietra dell’unzione per il trasporto al sepolcro, con l’aggiunta di due personaggi che aumentano il numero delle statue, dalle otto canoniche a dieci. Arduo, allo stato attuale degli studi, effettuare una precisa analisi stilistica su un’opera che, nella scomparsa quasi totale del colore, ha definitivamente perduto il suo impatto comunicativo originario.
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da Sara Bartolucci, in Oratorio della Grotta della Cattedrale, a cura di Mons. Davide Tonti e Sara Bartolucci, Macerata Feltria 2016
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