Sala VI | La Maniera di Barocci
Dopo la prima grande stagione rinascimentale, Urbino, nella seconda metà del XVI secolo, diventa nuovamente centro propulsore delle arti e acquisisce un ruolo da pro- tagonista nel panorama artistico internazionale, proponendo un linguaggio fortemen- te caratterizzato dal genio di Federico Barocci (1535-1612). Pittore amato dalla corte roveresca e molto apprezzato in ambito romano tanto da ricevere una qualificata committenza, Barocci, sotto l’ala della Controriforma, elabora un linguaggio che sarà capace di viaggiare ben oltre i confini del ducato ed influenzare Maestri come ) Pieter Paul Rubens (1577-1640). Barocci riesce a far convivere il naturalismo della rappre- sentazione, con l’ideale del bello che si svela spesso nell’epifania del divino. Attraverso una perizia tecnica che domina le forme ed il colore, l’artista attribuisce fondamenta- le importanza all’invenzione e alla preparazione del disegno. L’estasi della Beata Michelina e il S. Girolamo penitente esprimono la profonda religiosità del pittore il quale interpreta i soggetti con la dolcezza della forma che si coniuga con la realtà del quotidiano.
Barocci è il protagonista di un vero e proprio fenomeno artistico che domina la scena pittorica urbinate per tutto il XVII secolo ed oltre. Allievi, seguaci, epigoni del Maestro ripropongono infinite volte il modello, non assumendone solo i tratti stilistici, ma acquisendo moduli compositivi fino a tradurre le stesse figure in un contesto autono- mo. Artisti come Alessandro Vitali (1580-1630), Gian Andrea Urbani (1568-1632), Giovan Battista Urbinelli (1605-1663), Girolamo Cialdieri (1593-1680), presenti nel percorso espositivo con diverse opere, hanno declinato in tutte le possibili combina- zioni le invenzioni di Barocci.
Emblematico della ricezione del modello baroccesco e della sua fortuna attraverso i secoli, è il dipinto raffigurante un tema più volte eseguito dallo stesso Maestro, la Madonna del gatto e di cui si conoscono diverse copie autografe. Carlo Roncalli atti- vo nella prima metà del XVIII secolo realizza per gli Albani una copia fedelissima del dipinto, talmente ben eseguita, da essere considerata fino a tempi recentissimi, un’opera uscita dal pennello di Barocci, così apprezzata da assurgere ad emblema della collezione del Museo.